Partecipazione della corteccia visiva alla comprensione della lingua dei
segni
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 17 giugno 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Per
richiesta di alcuni soci ritorniamo sulla recensione dello studio pubblicata lo
scorso 3 giugno 2017 con alcune integrazioni al testo precedente.
La scoperta dei meccanismi
neurali che consentono la comprensione delle lingue è una sfida affascinante,
che promette di rivelare aspetti fondamentali dei processi alla base della
cognizione astratta. Attraverso le modalità sensoriali principali, dopo aver
acquisito la lingua madre, possiamo imparare a comprendere idiomi nuovi e,
talvolta, riusciamo a capire anche una lingua che non abbiamo studiato, perché
assomiglia alla nostra o ad un’altra che conosciamo bene.
L’estrazione di significato da un
codice verbo-acustico, verbo-grafico o simbolizzato mediante gesti, con quei
sistemi che Virginia Volterra aveva denominato semìe sostitutive, deve necessariamente essere un’operazione complessa,
costituita da parti diverse tra loro integrate. Si pensi alla semplice
equivalenza fra simbolo e oggetto per il significato di un sostantivo e,
all’estremo opposto, ai valori di senso trasmessi da un brano di insegnamento
filosofico o religioso. La rappresentazione di un nome concreto, quale albero o casa, comporta la semplice evocazione di un contenuto mentale che
corrisponda al vegetale o all’edificio; diversamente, nella comprensione dei
contenuti astratti sviluppati da una logica espositiva, sono incluse scelte di
senso dipendenti dalla struttura grammaticale, dall’organizzazione sintattica,
dall’articolazione ideativa che usa metafore, metonimie, iperboli ed altre
figure del discorso. È intuitivo e ragionevole che processi di decodifica del
senso tanto diversi abbiano basi neurali specifiche e fra loro distinte.
I risultati della ricerca in
questo campo confermano un modello neurofunzionale della comprensione del
linguaggio costituito da una combinazione di meccanismi specializzati e processi impiegati per fini più generali. Ma il riconoscimento
neurofisiologico di tali elementi rimane un’impresa di difficile realizzazione.
Studiando le risposte corticali all’ascolto
della parola prodotta nella forma dell’ordinaria comunicazione verbale, è stato
rilevato che oscillazioni di bassa frequenza, ossia inferiori agli 8 Hz, delle
popolazioni neuroniche della corteccia cerebrale, partecipano a fluttuazioni
quasi ritmiche nel volume. Tali studi hanno bene documentato la partecipazione
della corteccia uditiva ai ritmi del
discorso, ovvero delle frasi udite, ma il significato funzionale
di questo comportamento elettrofisiologico non è stato definito. Geoffrey Brookshire e colleghi, dimostrando una simile
partecipazione della corteccia visiva
durante la recezione di comunicazioni mediante il linguaggio dei segni, propongono un’interessante interpretazione
che suggerisce il profilo di un meccanismo della comprensione della
simbolizzazione comunicativa.
(Brookshire G., et al. Visual
cortex entrains to sign language. Proceedings
of the National Academy of Sciences USA - Epub
ahead of print doi:10.1073/pnas.1620350114, 2017).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Psychology, University of Chicago,
Chicago, IL (USA); Grossman Institute for Neuroscience, Quantitative Biology
and Human Behavior, University of Chicago, Chicago, IL (USA); Department of
Comparative Human Development, University of Chicago, Chicago, IL (USA).
A lungo, lo studio della
comprensione della lingua parlata e scritta è stato argomento quasi esclusivo
della neuropsicologia. Fin dalla scoperta pionieristica della sede delle
lesioni che avevano determinato la perdita della capacità di leggere in un
paziente (dislessia acquisita), i neurologi si sono posti il problema dei
processi cerebrali che consentono la comprensione dei codici linguistici dopo
la formazione delle memorie necessarie all’uso di una lingua. In seno
all’afasiologia sono state sviluppate riflessioni, prove e test per cercare di
scoprire quali funzioni e in qual modo sono alterate nel paziente che, per un
evento patologico, perde la capacità di comprensione nel quadro di un disturbo
acquisito del linguaggio. Una tale prospettiva escludeva la perdita
dell’abilità di comprendere legata ad un deficit più generale dell’intelligenza
e definiva tale aspetto di una sindrome afasica “disturbo semantico nella
comprensione”.
Per decenni, il riferimento alla
base neurale è rimasto limitato al dato di osservazione che indicava le lesioni
posteriori come quelle in cui più frequentemente si verificava il disturbo
semantico. Al deficit di comprensione del significato del messaggio verbale si
arrivava spesso per esclusione, verificando l’eventuale presenza di problemi di
attenzione, aprassici o agnosici. Problemi di non facile soluzione si ponevano
nel distinguere le componenti semantiche dai difetti dovuti ad un deficit
fonologico che, storicamente, Luria riteneva fondamentale nel causare problemi
di comprensione. La distinzione è agevole nel caso delle afasie transcorticali,
perché l’incapacità di capire ciò che si dice è, in questi casi, associata ad
un’abilità di ripetizione perfettamente conservata.
Negli anni Ottanta fu introdotto
da Gainotti il metodo migliore per distinguere i
disturbi fonologici da quelli semantici, ed ancora oggi si adoperano molte
delle innumerevoli varianti di tale strategia: in una prova a scelta multipla
il paziente deve indicare la figura denominata dall’esaminatore; in caso di
turbe fonologiche, le difficoltà
emergono con parole simili fonologicamente (pane,
cane, rane), in caso di problemi semantici
gli errori si verificano per parole diverse fra loro nella struttura, ma
accomunate dalla categoria concettuale, così che il paziente, ad esempio,
indica un animale per un altro o un frutto per un altro.
In epoca più recente, la
comprensione della comunicazione codificata è stata oggetto delle neuroscienze
cognitive e si è cercato, sia con metodiche di neuroimaging funzionale sia con
metodi elettrofisiologici, di individuarne le basi neurali nell’attività di
reti attive, in una realtà ben più complessa di quanto facesse supporre il
modello classico, costituito dalle aree di Broca e Wernicke connesse da un fascicolo.
Lo studio qui recensito
appartiene alla categoria metodologica che esplora con l’elettrofisiologia i correlati delle funzioni
osservate nell’uomo mediante l’esecuzione di compiti standard. Sebbene tale
metodo non consenta ancora l’indagine analitica che sarebbe necessaria per
conoscere la specificità dei processi testati, ha il pregio di fornire dati
precisi e perfettamente riproducibili.
La comprensione avviene
attraverso la struttura del codice verbale, perciò stupisce la capacità del
nostro cervello di generare e apprendere lingue tanto diverse fra loro. Se la
scoperta dei correlati neurali identificativi di ogni particolare idioma è una
speranza per il futuro, la possibilità di identificare gli eventi bioelettrici
che si accompagnano all’estrazione del significato da una struttura percettiva,
sembra a portata di mano.
Come si è già osservato più
sopra, quando si ascolta qualcuno che parla, le oscillazioni
elettrofisiologiche nella corteccia uditiva partecipano a fluttuazioni lente (˂
8 Hz) della configurazione acustica. La partecipazione a questo pattern elettrico della parola udita
potrebbe riflettere meccanismi specializzati nella percezione acustica.
Alternativamente, questa partecipazione flessibile potrebbe essere un
meccanismo corticale per fini generali che ottimizza
la sensibilità dell’informazione ritmica indipendentemente dalla modalità,
ossia dal canale percettivo.
Geoffrey Brookshire
e colleghi hanno verificato questa seconda possibilità esaminando la coerenza
corticale con l’informazione visiva del linguaggio dei segni.
Innanzitutto, i ricercatori hanno
sviluppato un sistema di misura per quantificare i cambiamenti visivi nel
tempo, e in tal modo hanno rilevato fluttuazioni quasi periodiche nel
linguaggio dei segni, caratterizzate da frequenze più basse delle fluttuazioni
del parlato. Poi, hanno verificato la partecipazione delle oscillazioni neurali
alle modificazioni visive offerte dal linguaggio dei segni, usando
l’elettroencefalografia (EEG) in volontari capaci di un uso efficace e corrente
dell’American Sign
Language (ASL), durante la visione di video riproducenti persone che trasmettevano messaggi mediante l’ASL.
Ricordiamo in proposito che
l’ASL, la lingua dei segni americana, ha avuto origine spontanea nella seconda metà
del XIX secolo, con l’introduzione di segni manuali a scopo comunicativo da
parte di bambini e ragazzi non udenti che, non potendo apprendere gli schemi
sensoriali acustici per le parole, dai quali sviluppare i corretti schemi di
articolazione verbale in uscita, risultavano funzionalmente sordomuti. Gesti
convenzionali ripetuti e rapidamente diffusi nelle scuole e in molti altri
contesti, hanno costituito il primo nucleo per lo sviluppo di un intero sistema
di segni, appunto una semìa equivalente e sostitutiva della lingua
verbale. Da tempo l’ASL costituisce un importante standard di riferimento, non
solo per i linguisti ma anche per neuropsicologi e studiosi dei processi
cognitivi della comunicazione, in quanto il suo insegnamento scolastico ha
consentito a tante persone con difetto di recezione ed esecuzione linguistica
di comunicare con normoudenti capaci di comprendere
ed usare i segni di questo codice. Infine, l’ASL ha avuto una grande diffusione
oltre i confini degli USA ed ha influenzato lo sviluppo, oltre che nel resto
del Nord America, di codici gestuali simili nell’America Centrale, nell’Africa
Occidentale, dove vi sono state anche contaminazioni della lingua dei segni
francese, LSF, nell’Asia Meridionale e in Oceania.
I ricercatori hanno trovato una
significativa partecipazione corticale alle oscillazioni visive del linguaggio
dei segni inferiori a 5 Hz con
picchi a ~ 1 Hz. La coerenza con il segno era maggiore nelle regioni parietali e occipitali della corteccia,
in contrasto con quanto rilevato per la comunicazione verbale, la cui coerenza
massima si registra in corrispondenza dell’area corticale uditiva nel lobo
temporale.
I risultati di questo studio
dimostrano che la partecipazione corticale flessibile al linguaggio non dipende
da processi specifici della percezione acustica. Pertanto, la partecipazione
oscillatoria di bassa frequenza può riflettere un meccanismo corticale generale
che massimizza la sensibilità ai picchi di informazione dei segnali varianti
nel tempo.
Il prosieguo della ricerca ci
dirà se questo studio ha individuato uno dei meccanismi generali adoperato dal
cervello per la comprensione della comunicazione interumana.
L’autore della
nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella
sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina
“CERCA”).
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